Andreas Barella, l’introduzione a “Orfeo e Euridice”

Ecco in anteprima per voi il testo dell’introduzione del nuovo volume di Andreas Barella “Orfeo e Euridice. Un’interpretazione del mito che narra di Poesia, di Amore, di Morte e di Rinascita” edito dalla Casa Editrice Ericlea. Pagina di presentazione del volume.

Adolf Bastian (1826-1905) fu un etnologo e antropologo tedesco che definì i ricorrenti motivi che compaiono in tutte le mitologie del mondo con il termine di “Elementargedanken”, idee elementari, distinguendole e mettendole in rapporto con i “Völkergedanken”, idee popolari o etniche vale a dire le diverse coniugazioni, interpretazioni e applicazioni nelle arti e nella vita quotidiana che un popolo fa delle idee elementari. Per esempio, un’idea elementare è la tematica della vita dopo la morte, mentre un’idea etnica è la rappresentazione fisica e realistica tracciata da Dante Alighieri nei suoi Inferno, Purgatorio e Paradiso della Divina Commedia. Ogni idea elementare, che è universale, è trasposta dai popoli nel linguaggio e nella realtà locale, affinché le persone che fanno parte di quella cultura e società siano in grado di comprenderla e di renderla viva e fertile per il bene della società stessa e dello sviluppo psichico delle persone. L’idea etnica è quindi l’incarnazione, in una data cultura, di una idea elementare.

Qualche decennio dopo le definizioni di Bastian, anche Carl Gustav Jung tornò a considerare e analizzare queste grosse costellazioni di significato universale e a metterle in rapporto con lo sviluppo e la salute psichica della cultura occidentale. Gli stessi motivi mitici che il dottor Bastian aveva chiamato idee elementari, furono definiti da Jung “archetipi dell’inconscio collettivo”, dove per inconscio collettivo intendeva una specie di serbatoio psichico comune a tutti gli esseri umani dal quale si originano appunto questi simboli che sono in grado di parlare all’immaginazione umana e alla vita psichica.

Questo libro parla di alcuni di questi archetipi dell’inconscio collettivo, tratta di alcune idee elementari coniugate nel linguaggio tradizionale della cultura occidentale, vale a dire la mitologia greca. Il mito di Orfeo ed Euridice sarà il nostro punto di partenza per considerare queste idee elementari e poi, pian piano, vedremo come gli archetipi prendono il loro posto nella realtà del ventunesimo secolo. Come già detto, ogni storia mitologica presenta sempre entrambi gli aspetti: quello universale, archetipico e condiviso da tutti gli esseri umani e quello locale, delimitato dalle esperienze di un particolare gruppo di persone. Analizzando il mito di Orfeo ed Euridice il nostro compito sarà proprio quello di scovare le idee elementari che esso contiene e ripulirle da quello che è l’aspetto più legato alle esperienze di un popolo che è vissuto circa 3000 anni orsono. Una volta individuate queste idee elementari, una volta scoperte delle costellazioni archetipiche, cercheremo di coniugarle nell’esperienza degli esseri umani del ventunesimo secolo: stesse idee elementari ma nuove e attuali idee etniche. Per farlo analizzeremo il vissuto di parecchie persone che, nella cornice di seminari e serate di lettura pubblica, hanno dato seguito al loro piacere e alla loro curiosità di analizzare e comprendere questo affascinante mito. In questo modo gli archetipi contenuti nella storia subiscono un doppio processo: vengono svincolati dalla loro coniugazione greca e viene loro enfiata quella linfa che scorre sulla terra nel nostro tempo.

Cominciamo con il chiederci una domanda ovvia: quali sono gli aspetti archetipici contenuti nel mito di Orfeo ed Euridice? Nella mia esperienza sono essenzialmente tre e hanno a che vedere con le idee elementari di Amore, di Morte e di Ritorno alla Vita dopo un’esperienza fuori dal comune. Andremo alla scoperta delle varie sfumature di queste tre idee elementari nel corso del libro: la loro essenza non è univoca e va considerata (e letta) da più punti di vista in modo da averne una visione il più ricca possibile. Si tratta di applicare quello che Robert Graves in La Dea Bianca definisce il “modo di pensare poetico,” vale a dire la capacità “di risolvere il discorso nelle sue immagini e nei suoi ritmi originali, per poi ricombinarli a più livelli di pensiero simultaneamente, ottenendo una molteplicità di significati” (261). Con il mito questo è il metodo migliore di procedere, e quello che dà i risultati più ricchi e sfaccettati. I “fatti” che contiene sono spesso pieni di apparenti contraddizioni e di svolgimenti impossibili, ma questo solo fintanto che gli accadimenti vengono considerati come inconfutabili e univoci. Quando cominciamo invece a leggerli come manifestazioni in immagini di un’idea elementare, ecco che la storia comincia a parlare la lingua della psiche umana, vale a dire l’arte di saper mettere in armoniosa relazione delle immagini in apparente contraddizione. E i temi dei quali il mito tratta sono fonte di contraddizioni a non finire e di possibilità di interpretazione variegate: amore, morte, ritorno alla vita. Difficilmente mi vengono in mente argomenti migliori che si prestano a letture e interpretazioni alla luce delle esperienze personali, delle proprie aspettative e delle proprie paure.

La nostra guida in questo percorso sarà Orfeo, il protagonista che attraversa tutto il mito. Esplorerà tre regni durante il suo viaggio: il primo è quello dell’amore, il secondo quello della morte e il terzo quello del mondo quotidiano dopo che si è confrontato con Amore e Morte. Orfeo compie il suo viaggio grazie ai doni che ha ricevuto alla nascita: la musica e il linguaggio poetico. Essi lo accompagnano e lo guidano in tutto quello che fa, lo soccorrono ogni volta che ha bisogno. Quando Orfeo rientra nel mondo quotidiano modificato dal suo essersi addentrato in profondità nei regni di Amore e di Morte, il suo ritorno fallisce e l’epilogo ha un sapore tragico e definitivo. Vedremo quali alternative il mito ci indica anche senza nominarle apertamente e quali spunti possiamo utilizzare per un arricchimento della nostra esperienza di vita personale.

L’arricchimento psichico personale è lo scopo principale del lavoro svolto nei seminari di approfondimento. In breve, durante questi stage si passa, per qualche ora, dal quotidiano in cui si pensa a se stessi e ci si pongono fini materiali e pratici, al tempo collettivo durante il quale l’anima si rigenera e si arricchisce. Poi si ritorna alla vita quotidiana, come è giusto che sia, e si scopre che questa si presenta in un modo più ricco e variegato. Con il lavoro di messa in scena rituale di un mito ridiamo voce a storie antiche ma non per ricostruirne la filologia o per far finta di essere greci del primo millennio avanti Cristo, bensì per far di nuovo danzare gli dèi, le dee, gli eroi e mille altri personaggi nella nostra vita e società. Il lavoro di messa in scena rituale nasce e si sviluppa dal modo particolare che utilizziamo per leggere i miti. Leggiamo le parole stampate sulla carta e “leggiamo” anche quello che è contenuto negli spazi tra una parola e l’altra, tra una riga e la successiva. Un antico commentatore ebraico della Bibbia diceva che i Testi Sacri sono scritti con un fuoco bianco e uno nero, entrambi strumenti nelle mani di Dio. Il fuoco nero compare sulla pagina sotto forma di inchiostro che prende significato nelle parole stampate o scritte. Il fuoco bianco è da ricercare negli spazi attorno, sopra e sotto il fuoco nero. L’inchiostro nero è fisso, stabilito per sempre, l’inchiostro bianco è assiduamente condizionato dalla freschezza dell’incontro tra i tempi che cambiano e le parole che rimangono immutate. L’inchiostro bianco rappresenta il potenziale delle interpretazioni di quanto tracciato dall’inchiostro nero. Per traslare la metafora nel lavoro con il mito, la rappresentazione rituale di una storia mitologica ha luogo in quello spazio libero del quale l’inchiostro nero rappresenta i confini e al quale qualsiasi rappresentazione deve in definitiva tornare. Si può vagare fino a quando si vuole nell’inchiostro bianco, interpretare i personaggi e gli atteggiamenti, riempire i silenzi, ma in caso di dubbi che fa testo sono sempre i fatti descritti dall’inchiostro nero.

È proprio in questo continuo passare dall’inchiostro bianco all’inchiostro nero e viceversa che il mito si trasforma in uno straordinario strumento di crescita personale e di gruppo, fermo restando che la nostra interpretazione è – appunto – un’interpretazione, e che il mito potrebbe suggerire qualcos’altro a un’altra persona, o anche a noi stessi in un altro momento della nostra vita. Nel lavoro con le persone si scopre ogni volta che i racconti mitologici sembrano arcaici e distanti, ma quando li ascoltiamo con attenzione e prendendoli seriamente, cominciano a far sentire la loro voce sottile. E quello che questa voce sussurra è sempre affascinante e fonte di meraviglia.

Lo scriveva anche Carl Gustav Jung in “Psicologia dell’archetipo del fanciullo”: “La mentalità primitiva non inventa i miti, li vive”. È proprio anche di questo che parleremo in questo libro: dell’approccio ai miti tramite una mentalità aperta, istintiva e piena, appunto, di meraviglia.

Per darvi un piccolo assaggio di quanto viene svolto durante i seminari, di tanto in tanto vi è un piccolo esercizio semplice e immediato che potete svolgere da soli o in compagnia di una persona fidata. L’aspetto che hanno in comune, come vedrete, è quello di permettervi di prendervi del tempo per voi stessi, di lasciare che il fascino del mito si mischi con la vostra esperienza personale. Con l’augurio che da questo incontro nasca qualcosa di prezioso, semplice, bello. Buona lettura, buona sperimentazione.

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